giovedì 29 dicembre 2011

Questione di … punti di vista


Una quindicina di anni fa lavoravo in una tipografia del cuneese.
Fu un infausto giorno quello in cui conobbi una "scrittrice in erba".
E l'erba non era quella di Grace. Spero, ma non ne sono così sicura.

Accompagnata dal marito, che la presentava fosse una novella e avveniristica Joanne Kathleen Rowling, era venuta per un preventivo di stampa di un libro di favole per bambini.

Libro che intendeva fosse distribuito nelle scuole del comprensorio.
E soprattutto finanziato dalla banca locale.

Purtroppo, il preventivo del mio capo era basso a sufficienza per accettarlo e cominciare il lavoro. Avendo studiato ragioneria, posso sempre sfoggiare le mie abilità di dattilografa. L'unica materia che mi sia servita veramente nella vita. Non so dirvi quante lettere riesco a battere al minuto, non me lo sono mai chiesta, ma sono abbastanza veloce. E quindi non ci misi molto a scrivere al computer quel manoscritto, o forse era battuto a macchina, sinceramente questo non lo ricordo.

Non mi avesse detto che il volume era destinato alle scuole, mi sarei fatta meno problemi, avrei scritto esattamente quello che vedevo sui suoi fogli. Ma la mia deformazione professionale non mi permise di ricopiare "paro paro" quelle corbellerie, fini a se stesse, senza alcun senso e prive di alcun significato che le maestre potessero insegnare ai propri alunni. Mi correggo: ho ricopiato "paro paro" parola per parola.

Ma una cosa non potevo proprio lasciarla come l'originale: la punteggiatura. Leggere quel "libro" era come rivivere dal vivo la lettera di Totò e Peppino alla malafemmina, compresi punto, punto e virgola, punto, punto virgola finali per non sembrare troppo provinciali…


Ritirata la bozza, qualche giorno dopo la coppia tornò per il "via alla stampa" definitivo.
E qui viene il bello.
Il marito: «Tutto a posto, errori non ce ne sono. Però ha corretto la punteggiatura. Magari lei ha studiato, ma la punteggiatura era meglio se la lasciava com'era. La punteggiatura è personale e soggettiva»
Io: «…». All'epoca, la mia seconda personalità non era ancora ben sviluppata, dava i primi vagiti. E in quel momento, strepitava perché le era caduto il ciuccio…
«Ma veramente è una delle prime cose che si insegna alle elementari», provo a dire in tono molto soft.
«Sì, va bene, lasciamola pure così, non perdiamo troppo tempo, andate pure in stampa».

E quel giorno ricevetti la prima strigliata perché "il cliente ha sempre ragione e non si deve correggere nulla" (!!!).

Dal canto mio, fin dalle prime righe del testo che stavo per ricopiare, posso dire che se fossi stata un'insegnante, non lo avrei mai dato alle stampe ma l'avrei censurato e dato alle fiamme.
Per il bene dei bambini.

Se non ricordo male, nessuna scuola lo ha mai messo tra i libri di testo, neanche nelle materne e negli asili. E se ci fosse mai finito, sarebbe stato riposto negli scaffali del reparto "Volumi da evitare come la peste". Nel ripiano più alto e inaccessibile.

Uno dei peggiori investimenti che quella banca potesse fare. Spero che tutte le copie del libro (di cui peraltro non ricordo, per fortuna, nemmeno il titolo) siano nel luogo più nascosto e protetto del caveau.
Per il bene dei bambini, ovviamente.

martedì 27 dicembre 2011

Semplici equazioni


Siamo nell'era del "Siamo tutti grafici".
Qualcuno mi deve spiegare l'equazione per cui:
io + computer = sono grafico.
Da piccola giocavo con i Lego e facevo delle belle costruzioni colorate, ma di certo non mi metto a fare il muratore.

Sono tutti lì, che si fanno in casa qualsiasi cosa per risparmiare, magari usando word, e poi arrivano in tipografia belli pimpanti: il lavoro è già pronto e finito, grafica fornita.

Questa è una classica conversazione sull'argomento.
Il capo: «Lory, c'è un cliente con la chiavetta»
Io: «…» Pausa silenziosa durante la quale il cuoio capelluto comincia a formicolare.
Lui: «Lo faccio passare?»
«Sì». "Come se avessi valide alternative…", penso fra me e la mia seconda personalità che vorrebbe uscire e avere il sopravvento, armata di bazooka e fascia da Rambo. Lama tra i denti no che ci si fa del male.

Ecco che arriva il cliente, o la cliente, dipende dalla giornata: sorriso a 32 denti o giù di lì, non ho il tempo di contarli. Chiavetta tenuta tra le dita come fosse un trofeo. «Buongiorno! Ho fatto tutto io»
«Bene!», sorrido. E vorrei avere la dentatura di Dracula.
Infilo lo strumento del male nella porta usb e attendo trepidante come sulla poltrona del dentista.

Ora, solitamente, possono succedere due cose.
La prima: c'è un elenco interminabile di files e cartelle, senza un minimo di ordine e di classificazione. Dalle foto della prima comunione del nipote ai fogli di calcolo per le spese del condominio. E lui, o lei, non ricorda il nome del file. In sostanza, è come cercare un ago in un pagliaio.
La seconda: la chiavetta, per un caso strano del destino, non ne vuole sapere di funzionare e non compare come icona sull'imac. A volte, addirittura, esce il messaggio che mi chiede se voglio inizializzarla, ossia formattarla. In questi casi, chiedo alla collega che ha un pc di scaricarmi il file sul suo computer e di metterlo su una nostra chiavetta mac-compatibile.

In entrambe le situazioni, quando ho ormai il nome del file, e soprattutto la sua estensione, davanti agli occhi, i capelli mi si sono drizzati in testa stile punk, mi si è accapponata la pelle e tengo a freno la Lory-Rambo dentro di me…

"E che minc… ci faccio con un file di word?!", questo vorrei dire ma visto che sono una campionessa di diplomazia, dico: «E' un file di word, purtroppo», con un tono di disperato rammarico.
«Perché, non va bene? Non è un formato universale?»
«Veramente è il pdf il formato universale… Comunque, se vuole glielo apro con OpenOffice e vediamo com'è»
In fondo, non mi costa nulla aprire OpenOffice e il suo file. E già so che non sarà affatto come il cliente se lo ricorda sul suo computer.
«Il carattere non è quello giusto, l'impaginazione è diversa, doveva stare solo su una pagina. I colori sono sballati. Cosa si può fare?»
«Le soluzioni sono: o riesce a salvare il tutto in pdf, oppure esportare in jpg ad alta risoluzione se non riesce a creare il pdf, altrimenti mi tocca rifare io il lavoro»
«Però mi fate pagare la grafica…».
"Ma come direbbero a Colorado, non sono certo qui a pettinare le barbie".
Lory-Rambo sta già cercando il numero dell'arrotino per sistemare la lama del coltello Marine Combat da 17,5 cm.
«Se lei non riesce a darmi un file con cui io posso andare in stampa, non vedo come si possa fare altrimenti»
«Allora ci provo. Come si fa a fare un pdf da word?»
«Guardi, non lo so perché non ho word. So che deve creare una stampante virtuale, se fa una ricerca su google trova tutti i tutorial sull'argomento»
«Va bene, torno domani, grazie»
«Grazie a lei, arrivederci».

Alla fine, spero tanto di doverlo fare io il lavoro, avrei meno problemi in fase di stampa. Anche perché è già successo, dopo una conversazione tipo questa, che il cliente non sia riuscito a fare il pdf. Anzi, mi correggo, l'ha fatto: ha stampato il file, l'ha messo sotto lo scanner, ha fatto la scannerizzazione (o scansione che dir si voglia) e l'immagine me l'ha salvata in pdf. Un lavoro molto utile, anche Lory-Rambo l'ha molto apprezzato. Me l'ha detto la sua analista...

Perché "coLoridicrazycoLors"?

Ovvio: "crazycolors" era già occupato. Sono affezionata a questo nick che ho utilizzato in diversi forum, ma più che altro è il mio nome di "battaglia" su Fotolia. Ci sono capitata per caso e sempre per caso ho scoperto che, pur essendo una schiappa nella fotografia, qualcuno ha speso e spende ancora dei soldi per comprare qualche mio scatto. Ma la scoperta ancora più grande è sapere di essere in grado di creare illustrazioni, vettoriali per essere più precisi. Proprio io, ragioniera mancata e grafica autodidatta… Ho provato per gioco con i soggetti a cui sono più legata: i delfini. Dapprima la colorazione era molto semplice, con sfumatura radiale o lineare. Poi mi sono impratichita con le trame sfumate e da questi delfini, sono arrivata a realizzare disegni più complicati, come la serie delle regioni, ancora in fase di ultimazione.
Se vi interessa, ecco il link al mio piccolo portfolio. Approfitto per ringraziare ancora una volta Corina, un'amica che sta promuovendo il portfolio di diversi autori di microstock sul suo sito internet. Promotes Photographers And Illustrators Chiedo scusa, mi reputo una grafica ma non riesco ancora a muovermi bene su questa piattaforma. Se mi tolgono Indesign e Illustrator non riesco a fare un cerchio, nemmeno con un bicchiere! :-(

sabato 24 dicembre 2011

… e non mi sono nemmeno presentata!


Giuro che ho ricevuto un'ottima educazione da parte dei miei genitori, anche se crescendo mi sono rovinata…

Mi chiamo Lorena e lavoro nel mondo della grafica dal 1995. Ma sono una ragioniera mancata, grazie a Dio. Ho studiato in un istituto tecnico ma, tornassi indietro, opterei per le materie umanistiche. Il danno di decidere la scuola e il proprio futuro in un momento della vita in cui non sappiamo cosa far indossare alla Barbie.

A parte questo, ho avuto la fortuna di incontrare una persona straordinaria, un mentore che mi ha indirizzato, senza volerlo in alcun modo, verso quella che si è rivelata la mia vera strada: la grafica.

Beh, all'inizio non sapevo niente di come si costruisce un libretto, dalla sua ideazione all'impaginazione, dalla realizzazione dei lucidi alle lastre, dalla stampa tipografica fino all'intercalatura e alla pinzatura rigorosamente a mano.
Non conoscevo nulla di Pagemaker (!), dell'uso dello scanner e di quant'altro all'epoca passasse il convento.
Eppure quello che stavo facendo mi piaceva: un bollettino parrocchiale.

E quella grande persona che purtroppo è mancata troppo presto mi ha insegnato, nel suo piccolo, un mestiere che sto cercando ignobilmente di portare avanti. Un lavoro che è in continua evoluzione e a cui non si riesce a stare dietro, come per le tecnologie che cercano sempre di superare se stesse. Bisogna sempre aggiornarsi, con hardware e software. Ma quello che bisogna aggiornare non è una macchina o un programma: è il nostro cervello, perché senza quello le tecnologie non servono a nulla.

Non potevo presentarmi a voi senza farvi conoscere la persona che mi ha condotta qui, in qualche modo: sto parlando del compianto Don Tarcisio Bertola, un prete ma prima di tutto un uomo, che ha dato tutto per la sua missione, anche la vita nel suo ultimo viaggio di carità nelle terre della ex Jugoslavia.

Uno degli ultimi ricordi che ho di lui è una sua telefonata, verso l'ora di cena. Chiamava sempre nei momenti meno opportuni ma riusciva a non disturbare mai. Era alle prese con Photoshop, doveva mettere insieme due disegni ma non riusciva perché c'era quello sfondo bianco fastidioso di uno che andava sopra l'altro. Gli spiegai cosa doveva fare e lui, in diretta sul programma, lo fece, ci riuscì e mi ringraziò. Solo dopo un po' mi resi conto di aver insegnato ad un prete a usare la bacchetta magica...

... ci sono anche io ...


Ecco. L'ho fatto. Mi sono bloggizzata pure io.
Torno a scrivere, dopo un lungo periodo di disintossicazione.

Ebbene sì, lo ammetto: ero una scrittrice compulsiva, una malattia che colpisce molti, a vedere sugli scaffali delle librerie, mentre ora avrei dei problemi anche per una semplice lista della spesa...

A mio favore, posso dire di non essere stata pubblicata, a parte una piccola fiaba premiata in un concorso. Tutto quello che ho scritto è rimasto nel cassetto, nell'accezione fisica del termine. Quella vecchia scrivania è stata rottamata, compresi i cassetti, quindi ora non saprei dove mettere le mani per cercare quei plichi di corbellerie, vergati a mano o battuti a macchina.

Eh sì, la macchina per scrivere, mia amica per molti anni e incubo dei vicini di casa. Poi è arrivato il computer, cos'era più, un 486? E dopo un Pentium-Qualcosa. Quindi l'amore della mia vita: un imac.
Ve li ricordate i primi? Un megacervellone trasparente ed ingombrante, un monitor molto piccolo da lasciarci gli occhi. Però era un mac, con il simbolino della melina non tanto in bella mostra perché sul lato superiore. Ce l'ho ancora sulla scrivania, quella nuova: è lì perché prima o poi dovrò accenderlo e scaricare tutto lo scaricabile su un hard disk esterno. Sempre che si accenda.

All'epoca, 2000/2001, avere un dispositivo Apple equivaleva a far parte di una nicchia, non tanto ben vista a dire il vero. Eravamo un po' snobbati, ma per gli altri gli snob eravamo noi. Devo ancora capirla questa cosa.

Al giorno d'oggi, tutto è diverso: tra ipod, ipad, iphone, imac, avere un apple è come avere il morbillo: prima o poi ce l'hanno tutti. E' una moda, è trendy, è una malattia, peggiore della scrittura compulsiva.

A proposito, ho ripreso da pochi minuti e ho già di nuovo le compulsioni…
Avevo l'ansia del foglio bianco prima di cominciare, e ora non riesco più a smettere.

Ecco. L'ho fatto. Ci sono ricascata...