domenica 4 marzo 2012

ADELASIA


Siedi ed ascolta il silenzio.
I capelli sciolti nel vento come onde di verdi steli increspati.
Rami di leccio struscianti nascondono il sole a tratti.
Stridio di rapaci volteggianti in attesa di facile preda.

Guarda e vedi ciò che ti è nascosto:
sotto volte di centenari faggi e castagni monumentali,
tra fronde di noccioli, ontani neri ed olmi,
la natura si cela con schiva ritrosia.

Respira ed assapora l'anima del bosco,
con il profumo di luminose ginestre ardite,
inaccessibili macchie di folti brughi,
felci cresciute tra radici imponenti e torrenti gorgoglianti.

Pensa ed immagina che non sei sola.
Sei osservata da lontano e temuta per la tua estraneità.
Ti ascoltano, ti guardano, ti odorano:
sei al centro del loro mondo, sei sulla Rocca dell'Adelasia.
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Ormai ne era sicuro. Si era perso.
Il senso d’orientamento lo aveva tradito. Beh, niente di più facile: non era nel suo habitat, si trovava in un mondo completamente diverso dal suo.
E ora cosa poteva fare? Si guardò intorno, alla ricerca di qualsiasi punto di riferimento che potesse aiutarlo. Un torrente scorreva limpido, sotto di lui, lo aveva seguito non appena l’aveva intravisto, e l’unica cosa certa era che lo stava risalendo.
Tutt’attorno alberi, alberi e ancora alberi.
Fece un lungo sospiro, rassegnato: doveva chiedere a qualcuno…


Mamma Scoiattolo quella mattina si era svegliata con la zampa sbagliata, scivolando su una delle ghiande nella dispensa del tronco cavo. E aveva un diavolo per pelo…
I suoi piccoli la osservavano preoccupati: se il buon giorno si vede dal mattino, quella che li aspettava sarebbe stata una luuuunga giornata.
«Sento che oggi succederà qualcosa di grosso nel bosco», continuava a ripetere lei, mentre la coda le sussultava nervosamente. Eppure, sembrava tutto normale…


Un gruppo di piccoli ciuffolotti sfrecciavano tra i faggi litigando spesso…
«Tocca a me fare il capo stormo adesso!»
«Ma non ci pensare neppure! L’ultima volta che ci hai provato, a momenti andavamo a sbattere!»…
Una coppia di gazze stava fissando da un ramo la superficie scintillante del ruscello… «Quello è oro, è oro, oro!», gracchiò una.
«Seee, come no», rimbeccava l’altra. «L’ultima volta che l’hai detto, ti sei tuffata e sei riemersa con una pietra in bocca»
«Non è colpa mia, il sole a volte fa brutti scherzi»…

Un tasso e un cerbiatto discutevano animatamente…«Te lo giuro, è andata così!», si lamentava il tasso. «Stavo parlando con lui del fatto che questa primavera è più calda dell’anno scorso e che se continua così quest’estate ci sarà siccità e poi mi accorgo che lui dormiva! Gli ho parlato per mezz’ora e non ha sentito una sillaba!»
«Beh, ma lo sai che il ghiro è così, no? Non te la devi prendere!»…

Un picchio verde disturbava il sonno di un gufo…
«La smettiamo o no! Qui c’è gente che ha lavorato tutta notte!»
«Ma anch’io sto lavorando!», rispondeva di rimando il volatile continuando a battere il becco contro il tronco.
«Ma con tutto il posto che c’è, devi lavorare proprio qui?!!»…
… Insomma, ogni abitante del bosco era nelle proprie faccende affacendato quando…
«Aaaahaaaah!», un urlo agghiacciante da far rizzare penne e peli si levò dall’estremità opposta. Il tempo parve fermarsi mentre il silenzio pian piano prendeva il posto dell’eco del grido. Tutto ad un tratto, dalla boscaglia uscì di corsa Mamma Cinghiale con al seguito i suoi otto piccoli spaventatissimi.
«Ma che diamine succede?», chiese il cerbiatto.
«Un… un … mo… mostro orribile!», ansimò lei cercando di prendere fiato.
Tutti trattennero il respiro ma per un istante soltanto. Poi la subissarono di domande. «Come un mostro?». «Dove?». «Com’è fatto?». «Quando?». «Ma sei sicura?».
«Certo che sono sicura di averlo visto? Proprio adesso, vicino alla rocca delle ginestre! E’… è enorme! E rosso come il diavolo»
«Ma mamma, era blu!», la contraddisse uno dei piccoli.
«Ma no, era verde e con le corna!», disse un altro.
«Ma che corna e corna!», sbuffò un terzo. «Per me era solo un fagiano strano!»…
«Come, come?», in quel momento ne passava proprio uno che si fermò ad ascoltare. «Come sarebbe codesto fagiano strano?»
«Più colorato di te, più grosso e con la coda più lunga della tua!».
«Impossibile, non può esistere un fagiano più bello di me in questo bosco!», rispose quello piccato.
«Ma che ti ha fatto il mostro?», chiese Mamma Scoiattolo a Mamma Cinghiale.
«Niente, per fortuna! Mi ha solo chiesto…», si interruppe sgranando gli occhi dalla paura fissando lo sguardo nella direzione da cui era venuta. Tutti si girarono e lo videro…


«¡Hola! Potete dirmi che posto è questo?». Non si aspettava certo quel tipo di reazione: in un attimo, e neanche tanto silenziosamente, tutti sparirono letteralmente, chi prese il volo, chi si nascose negli alberi, chi scavò nella terra per nascondersi. Insomma, restò da solo. Dopo un paio di minuti, durante i quali si chiese se avesse usato le parole sbagliate – lui in fondo era straniero – o il tono della voce, vide il gufo fare capolino dal nido…
«Non pensavo potesse svegliarmi il silenzio! Bravo picchio, e non tornare più… Ehi, ma che fine hanno fatto tutti quanti?!»
«¡Hola!».
Il gufo restò impietrito poi si guardò intorno parandosi con un’ala gli occhi sensibili alla luce. E lo vide. Non aveva mai visto nulla del genere, e dire che di cose ne aveva viste molte nella sua vita! Un uccello enorme era posato su un ramo del faggio davanti a lui: doveva essere alto mezzo metro, se non di più, aveva il corpo e la lunga coda di colore rosso e le penne delle ali gialle, verdi e blu. Aveva una voce gracchiante come le gazze ma più melodiosa, e uno strano becco uncinato. Scrollò la testa un paio di volte, girandola di 360°, chiuse e riaprì gli occhi ma quello era sempre lì, bello come un arcobaleno dopo il temporale estivo e allo stesso tempo spaventoso in quel suo “essere diverso”.
«Ehm…», si schiarì la voce. «Salve… ehm… e tu cosa… chi saresti?».
L’altro aprì le ali e si librò posandosi davanti a lui sul suo stesso ramo. Il gufo era rimasto lì, a becco aperto. Ma che volo magnifico, che grazia dei movimenti! Aveva la stessa leggerezza della Farfalla Macaone, nonostante quella stazza!
«Yo soi… sono Miguel e mi sono perso! Dove siamo?».
Decine di occhi curiosi cominciarono a scorgersi fra le foglie, sulle fronde, o seminascosti dai tronchi.
«Miguel», ripeté fra sé il gufo, poi chiese «Ma a che etnia appartieni?»
«Etnia?»
«Sì, insomma, di che razza sei?»
«Pappagallo delle foreste tropicali»
«Pappa…gallo… vuol dire che mangi i galli?!! Sei carnivoro!»
«Oh, no no! Mangio bacche, semi e frutta»
«Ehi, là sotto e su per aria!», gridò il gufo sporgendosi dal nido. «Non abbiate paura, è inoffensivo!». Il gufo gli fece strada ed entrambi atterrarono al centro del bosco. Tutti si fecero avanti sollevati.
«Benvenuto nella nostra umile dimora, Miguel. Questa è l’Adelasia», disse il gufo. «E io sono Erminio».
Il primo ad avvicinarsi fu il fagiano. Non era autoctono, era stato liberato nel punto sbagliato dai cacciatori, e lui, invece di incorrere in un fucile, aveva trovato il paradiso. Un gran bel colpo di fortuna! Era ormai ben integrato e conosciuto da tutti.
Esaminò Miguel dalla cresta alle unghie incurvate con una strana espressione…
«Narciso è il mio nome e sono il fagiano
di tutto il bosco io sono il sultano
eppure da oggi comincia il declino
al nuovo arrivato porgo lo scettro e mi inchino…».
Narciso era famoso per le sue rime, ma soprattutto per la sua vanità. Doveva essergli costata parecchio quella poesia, e ora tutti aspettavano la risposta dallo straniero.
Miguel ricambiava gli sguardi con evidente imbarazzo.
«Ehm… Mi chiamo Miguel e vengo da lontano
ho attraversato l’oceano nella pancia di un aeroplano
Sono qui perso in un posto che non è il mio
sognando di tornare al mio grande Rio.
Ambizioni non ho di diventare sultano
né di spodestare il qui presente fagiano.
Ripartirò per il mio mondo colorato e vario
quindi che lo scettro resti al suo proprietario», finì timidamente.
Narciso lo guardò ammirato, mentre un “Oooh” corale faceva da colonna sonora al momento. Questo non tanto per le parole – più che poesia una vera canzone! –, quanto per il fatto che Miguel aveva imitato perfettamente la voce di Narciso.
«Bella questa!», disse Erminio gongolante. «Bene, bene, mi piace questo ragazzo!».
Poi, uno ad uno si presentarono tutti gli altri, e tutti gli chiedevano com’era stato volare con ali che non erano le sue. La storia era triste: era stato rapito dalla sua terra e portato in un altro continente, costretto a vivere in una casa legato ad un trespolo con una piccola catena.
«Bipedi spiumati! Pensano di essere i padroni dell’universo!», sbraitò Lucilla, una delle gazze. Poi fissò Miguel. «Non è che puoi darmi una delle tue penne?».
«Smettila!», si indignò la sua compagna. «Guarda che non luccicano mica, Lucilla!»
«Però sono belle!».
«Ma come sei riuscito a scappare?», indagò il tasso Silvano.
«Era da mesi che cercavo un modo per fuggire da quella casa. Poi ho avuto un colpo di genio: mi sono finto morto e sono penzolato dalla catenella per almeno un’ora prima che qualcuno se ne accorgesse. Appena mi hanno liberato la zampa, sono volato via dalla finestra aperta!». Mentre raccontava tutto questo, un corvo si era avvicinato in volo sbandando pericolosamente.
«Quello è Bartolomeo. Non fare caso a quello che dice», bisbigliò Narciso.
«Perché?», chiese Miguel.
«Guarda e capirai».
Bartolomeo atterrò perdendo quasi subito l’equilibrio. «Cosa mi sciono perso?», disse con voce impastata. Poi vide il pappagallo. «Ma non è già passato il Carnevale?».
Miguel guardò Narciso che fece alucce con aria rassegnata.
Bartolomeo tentò di strappare le penne dalla lunga coda di Miguel… «Ahi!»… e si accorse che erano vere, guardò il grande becco dalla strana forma e cadde all’indietro. «Devo smettere di beccare l’uva acerba!», e detto questo riprese il volo barcollando.
«Dobbiamo festeggiare il nuovo arrivato!», decise Erminio e tutti approvarono.
«Io adoro le feste!», si illuminò Narciso. «Ti lascio volentieri l’onore di essere al centro dell’attenzione».
Musetta, la mamma scoiattolo, si era di nuovo innervosita: «Ecco, lo sapevo, bisogna preparare la festa e si sa chi lavorerà e chi no. E’ sempre la stessa gente che sgobba dal mattino alla sera. Musetta, porta da mangiare! Musetta, da bere! Musetta, le decorazioni! Musetta di qua, Musetta di là…», intanto era già partita per cercare orchidee selvatiche, campanellini e gigli di S. Giovanni, seguita dai suoi piccoli.
«Non vorrei darvi disturbo», disse Miguel sentendosi in colpa.
«Ma va là, non ci pensare! Hai creato un diversivo, altrimenti sai che noia, non succede mai niente qui!», rispose Erminio. «Senti un po’, ma tu di solito cosa mangi?».
Il pappagallo si guardò intorno. «Semi di piante che non credo troverei qui».
«Allora mi sa che ti dovrai accontentare di ciliegie… Ah, dimenticavo: qui siamo in una riserva naturale. Cacciatori non ci sono ma bipedi spiumati possono passare armati di quegli strani aggeggi che fanno una luce accecante…», continuò abbassando la voce con fare complice. «Dicono che chi ne viene colpito non è più quello di prima…».
Miguel accennò un lieve sorriso «Non credere a tutto quello che ti dicono. Quelle si chiamano fotografie, me ne hanno fatto tante ma sono sempre lo stesso!».
Erminio era impressionato dalla rivelazione. «Comunque sia, tu sei un ricercato, sei in fuga. Meglio non farsi vedere troppo in giro»
«Su questo hai ragione, cercherò di stare attento».
«E c’è altro da cui guardarsi: i predatori. La biscia dal collare, il gheppio, lo sparviero… Tu, come dire, non passi certo inosservato, saresti una facile preda…».
«La biscia non mi spaventa, non bazzico per terra tanto a lungo… Con i rapaci non ho problemi, sono più grande e comunque so difendermi».
Il gufo finse di non cogliere l’allusione: «Bene, mi fa piacere. Un’ora prima del tramonto ci troveremo tutti qui»
«Per la fiesta?»
«La fiesta, come la chiami tu, la faremo all’imboccatura della Tana degli Olmi, è una grotta, non troppo distante da qua. Nel frattempo, puoi cercare del cibo. A più tardi!», salutò tornando al suo nido. Un gufo di giorno deve pur riposare, no?
Anche Miguel si preparò per la sua siesta, ma… «Ahiaa!! Lucilla, la mia penna!!! Riportamela subito, ladra!!».


In quel tardo pomeriggio di maggio, gli sguardi degli Adelasiesi erano puntati al cielo: un gufo sfrecciava nell’area di volo settentrionale seguito, a distanza di un colpo d’ala, da un coloratissimo pappagallo amazzone. Miguel non aveva nessuna intenzione di perdersi un’altra volta ed evitava di farsi distrarre dal paesaggio, fissando la coda di Erminio davanti a sé. Un vero peccato, perché in quel modo non poteva accorgersi dello scalpore che stava suscitando. La voce dell’arrivo di uno straniero aveva già fatto il giro della Riserva, ma certo nessuno avrebbe pensato di vedere il “mostro” in tutto quel suo splendore…
Quando Erminio e Miguel arrivarono all’imbocco della Tana degli Olmi, già un buon numero di Adelasiesi erano in trepidante attesa.
Bocche e becchi aperti dallo stupore, nel silenzio più totale.
La prima a riprendersi e a commentare fu la salamandra Amanda con un laconico “Esibizionista”. Miguel apparve molto divertito per l’uscita del piccolo anfibio che faceva sfoggio di una stravagante livrea giallo-nera.
«Per favore, bando alle ciance!», interruppe Musetta. «Se dobbiamo farla, facciamola in fretta questa festa, non tutti abbiamo abitudini notturne qui!».
«La scoiattola ha ragione», disse il gufo. «E la musica dov’è?»
«Eccoci!». Il picchio verde Tommaso e il cuculo Ugo erano già in posizione sul ramo dell’olmo più vicino alla tana e, mentre il primo cominciò a battere un ritmo martellante sul tronco, il canto del secondo accompagnò la cerimonia di benvenuto a Miguel.
Bartolomeo aveva già davanti a sé la sua cupola di ghianda piena di succo d’uva e gli animali intorno a lui si chiedevano in quanto tempo l’avrebbe finita.
Miguel aveva il suo bel da fare, tutti lo volevano conoscere, gli chiedevano del suo periodo nella casa dei bipedi e di come fosse la sua terra natia. Il pappagallo cercava di non darlo a vedere ma la commozione stava per prendere il sopravvento al ricordo della sua foresta alla quale sperava di tornare il più presto possibile. Uno dei piccoli di Musetta, Carlino, se ne accorse e gli andò vicino: «Devo farti vedere una cosa», gli disse a bassa voce, tanto che Miguel dovette farselo ripetere due volte, poi lo seguì zampettando all’interno della Tana, mentre tutti erano intenti ad ammirare le evoluzioni di Dorotea, una vivacissima Ballerina Gialla.
La grotta era molto più grande di quanto si potesse intuire dall’esterno, si sentiva in lontananza il rumore dell’acqua che scorreva in profondità oscure. Stalattiti e stalagmiti creavano un’atmosfera senza uguali, le voci all’esterno erano ovattate e Miguel pensò di essere nel luogo in cui  regnava la pace assoluta. L’ambiente era fresco, si fermarono nella parte in cui arrivava un po’ di luce dall’ingresso, prima della zona immersa nel buio più totale.
«Guarda!», disse lo scoiattolo. Il suo tono non era stato tanto forte, ma la sua eco vibrò ancora per qualche istante prima che tornasse il silenzio. Per terra, davanti a loro, c’era un oggetto nero dalla indubbia provenienza. «Roba da bipedi…», sussurrò Carlino.
«E’ una pila», riconobbe Miguel dopo un’attenta valutazione. «Dimenticata da qualche esploratore». Ci girò intorno poi la rovesciò col becco. «Dovrebbe accendersi così», armeggiò non poco con l’interruttore poi un violento fascio di luce illuminò quella zona di grotta.
Lo scoiattolo lanciò uno strillo e tornò indietro di corsa.
«Aspetta!!!», gli gridò dietro Miguel ma ormai non c’era più traccia dell’animale. «E che faccio qui da solo?!». Tutt’intorno cominciò a sentire dei rumori. La luce della pila illuminava ben poco e nell’oscurità potevano esserci forme di vita ostili.
Lentamente indietreggiò, continuando a guardare di fronte con l’orribile sensazione di essere osservato. Proprio in quel momento si ricordò di essere provvisto di un bel paio di ali – a volte la paura fa strani scherzi! – ma non ebbe il tempo di usarle…
«Ha una ragione la tua presenza nella nostra tana?», la voce era profonda – anzi, la parola giusta era “cavernosa”! – e Miguel arruffò la cresta dal terrore.
«No… signore», ansimò. «Vado via… subito…»
«Non così velocemente…», ed il tono, ve lo garantisco, non era per niente rassicurante.


Carlino era arrivato di corsa dalla grotta gridando. La coda di Dorotea si fermò a mezz’aria, Tommaso perse il tempo e Ugo strozzò l’ultima nota in gola. «Miguel ha portato il sole nella grotta!»
«Cooosa?!», gridò Musetta. «La smetti di inventarti queste storie?!».
Erminio guardò gli occhi impauriti del piccolo, poi si affacciò alla soglia della tana e… sì, c’era davvero una luce verso il fondo, una luminosità che non c’era mai stata, ma da lì a chiamarla “sole”… «Come ha fatto?», gli chiese.
«C’era una cosa da bipede spiumato… ha detto che si chiama “pila” e… e… poi è arrivata la luce e io sono scappato via!»
«E tu l’hai lasciato lì da solo?!».


Miguel era indeciso se stare ad ascoltare o fuggire ad ali spiegate. Per la precisione, era imbalsamato dal terrore…
«Di solito non viene mai nessuno qui da noi. Si limitano a restare all’ingresso quando fanno le feste di primavera e di fine estate…»
«Già capo», interruppe una seconda voce. «Ma questa festa non è in calendario. Non hanno chiesto l’autorizzazione!»
«Già, già», fece una terza. «Devono pagare! Pagare!».
Improvvisamente ci fu un vociare confuso e Miguel si rese conto di essere circondato, se avesse fatto un passo in qualunque direzione, “quelli” gli sarebbero stati subito addosso. Se li immaginava già, grandi e spaventosi, tutti pelo e corna, e sicuramente molto affamati…


«Non dovevi portarlo là dentro! E’ stata una vera e propria provocazione!», sibilò Amanda. «Lo sappiamo tutti cosa pretendono “quelli là”».
«La salamandra ha ragione», disse Silvano. «Dobbiamo tirarlo fuori o altrimenti…». «Secondo me se la può cavare anche da solo», mormorò Musetta che non aveva nessuna intenzione di andare là dentro, con il buio o senza. «In fondo, se ha portato la luce deve essere uno in zampa!», ma questo non convinse nessuno. Tutti cominciarono a dire la loro provocando la confusione più totale mentre incredibilmente Bartolomeo russava beato ignaro di tutto.
Il sole era ormai tramontato, le ombre si allungavano sempre più nel crepuscolo. L’attenzione degli Adelasiesi era concentrata sull’operazione “SalvaMiguel”.


Miguel era stanco di avere paura e se doveva morire, almeno voleva vedere in muso chi fossero i suoi nemici. Si era reso conto di aver mancato di osservare uno dei Comandamenti della Natura: “In grotta con acqua, buia e profonda, facile che incontri un’anaconda”… Ora, difficile all’Adelasia imbattersi in un rettilaccio del genere – come d’altronde, in una scuola inglese, incontrare nei bagni un basilisco… dite di no? –, ma di sicuro nel mondo amazzonico di Miguel potrebbe essere un poco più “naturale”. Comunque, cercando di non darlo a vedere, riuscì a prendere la pila con le lunghe unghie e a ruotarla e… non credette ai suoi occhi…


«Allora, chi ha preso il rametto corto va dentro e salva Miguel», disse Erminio, dopo aver fornito ad ognuno dei bastoncini di legno. Gli Adelasiesi si guardavano di sottecchi ma nessuno sembrava di aver capito chi l’avesse tra le grinfie o nel becco…
«Io sono ancora dell’idea che questo espediente non ha senso», borbottò Musetta. «Ho io il bastoncino corto… mi avrete tutti sulla coscienza… io che devo crescere i miei piccoli! Egoisti!», i suoi figli avevano le lacrime agli occhi.
«Va bene, va bene… ho capito! Vado io», si arrese Erminio. «Ma questo non è democraticamente corretto!»
«Non sai che in Natura non esiste democrazia? A proposito, non ci hai neanche ancora spiegato cosa voglia dire “democrazia”», si spazientì Silvano.
«Se torno ve lo spiegherò!», e con questa laconica risposta, si avviò nella Tana degli Olmi.


Avevano un pelo lungo e fluente, la schiena di color marrone, l'addome tendente al grigio chiaro. Una strana membrana a forma di ferro di cavallo sul naso, di color pelle chiara con delle tracce scure, le orecchie dello stesso colore e terminavano a punta. Non ricordava di avere visto animali più strani – a parte la salamandra – ma di sicuro ora era molto più rilassato…
«Insomma, siete solo… pipistrelli?». Era veramente a disagio a guardare negli occhi colui che tutti chiamavano “capo” messo a testa in giù, appeso al soffitto della grotta.
«Solo? Che altro pensavi di trovare in una grotta?!»
«Beh, mi siete sembrati piuttosto pericolosi»
«Il pericolo deriva da quello che non conosci. Solo la conoscenza delle cose ti aiuta a non avere paura. Conosci e sarai libero da ogni timore»
«Bravo, capo!», approvarono in coro i suoi simili battendo le ali all’unisono.
«Da cosa deriva tutta questa saggezza?», chiese timidamente Miguel.
«Qui non viene nessuno perché hanno paura di noi… Qualcuno ha messo in giro la voce che noi uccidiamo e beviamo il sangue delle nostre vittime… Nessuno ci ha mai chiesto se tutto ciò corrispondesse al vero, ci credono e basta. Se ci conoscessero veramente non avrebbero questo timore, e vivremmo insieme senza troppi problemi: noi non dovremmo sempre nasconderci qui dentro e loro verrebbero a tenerci un po’ di compagnia… Sai, soffriamo un po’ di solitudine…».
Miguel sentì di essere nella loro stessa situazione: anche lui era stato scambiato per un “mostro” perché “diverso” dagli altri…
Uno degli altri animali zittì tutti: «Un altro intruso, capo. Il mio sonar non sbaglia».
Miguel ruotò il fascio di luce e vide avvicinarsi Erminio.
«Spegni quel coso!», gli gridò il gufo mezzo accecato.
«Scusami!»
«Stai bene, Miguel?»
«Sì, certo… vieni tranquillo, qui ci sono solo amici…»


«Ma mangiano solo insetti!», disse Carletto ai suoi fratelli. «Non stanno succhiando il sangue a nessuno!»
La pila da bipedi era appoggiata su un ramo – naturalmente Lucilla era stata ben contenta di portarla fin lassù! – ed illuminava la notte ormai fonda.
La Compagnia dal Naso a Ferro di Cavallo stava beatamente in mezzo agli altri animali che si prodigavano a portar loro da mangiare e bere. Non si erano mai divertiti tanto – anche se, durante la spiegazione del concetto “democrazia” da parte di Erminio, parecchi Adelasiesi si erano addormentati – e per ringraziare dell’invito al banchetto, avevano deciso di raccontare una storia dell’orrore il cui protagonista era un marchese, anzi no, un conte che abitava in lontane terre dell’est e che aveva strane abitudini. Davvero da brivido, tanto che Musetta aveva deciso di mandare nel tronco i suoi piccoli per evitar loro incubi notturni!
Anche Miguel si sentiva rizzare le penne ma non erano brividi da paura e tutti ne ebbero la prova…
«Eccciiiùùù!». Un silenzio di tomba cadde nella radura.
«Che è stato?», chiese Bartolomeo svegliatosi di soprassalto.
Gli Adelasiesi guardarono il pappagallo con una strana espressione.
«Ma ha mica…», cominciò Lucilla immediatamente zittita da Erminio.
«Non dirlo neanche per scherzo!»
«Ecccciiiiùùùùù!», e lo starnuto lo fece quasi cadere dal ramo. «Credo di essermi preso un raffreddore!», disse con voce rauca.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, ma durò solo un istante. «Penso proprio che questo non sia il posto adatto a lui», disse il gufo. «Non è abituato a questo clima»
«E se adesso che è quasi estate si ammala, come farà quando arriverà l’autunno? E l’inverno neanche a parlarne…»
«Eccciiiùù!... Scusate… non c’è quest’aria fresca dalle mie parti…»
«E io che dicevo che cominciava a fare troppo caldo…», si stupì il tasso Silvano.
«Possiamo indicargli la via del mare…», disse Musetta.
«Sì ma anche lì d’inverno non fa certo caldo! Nevica anche sulle spiagge, me l’ha detto un gabbiano della diga dei bipedi…», interruppe Erminio.
«Ecciùùùù… ma il mare è così vicino?», indagò Miguel. «Ci sono porti con navi del mio paese?»
«Hai ragione!», si illuminò Erminio. «Il porto è davvero il posto giusto per farti tornare a casa!»
«Sì, ma come arrivarci? Tu sai la strada?», chiese Carlino al gufo.
«So la direzione, non deve essere tanto difficile arrivarci», rispose Erminio. «Ma non posso certo accompagnarlo. Lo sapete, io vivo di notte e di giorno dormo, per lui sarebbe impossibile volare di notte…»
«Quindi dobbiamo trovare un’altra soluzione», mormorò Musetta.
«Eccciùùù… Erminio, hai parlato di gabbiani prima…», azzardò il pappagallo con una roca voce irriconoscibile.
«Già, vivono in una piccola colonia lungo il fiume, su una diga artificiale vicino ad una zona industriale… Ti assicuro che mi si rizzano le penne al pensiero di andarci, ma solo loro ti possono aiutare…»
«Lo accompagno io volentieri!», esclamò Lucilla la gazza.
«Sei sicura che non ti perderai?», fece Erminio divertito.
«No, tranquillo, ci sono già stata»
«Ah, sì, ricordo… volevi cercare il fiume dove trovano l’oro ma ti sei ritrovata da tutt’altra parte…», disse l’altra gazza che ricevette da Lucilla una bella zampata…
«Eccciùùùù… grazie Lucilla, sei gentile ad accompagnarmi»
«Partirete all’alba», asserì il saggio gufo. «E dovrete stare attenti a non essere visti dai bipedi… Volate a bassa quota, e in mezzo ai boschi, darete meno nell’occhio… In cielo aperto Miguel sarebbe facilmente distinguibile… Mi raccomando, state attenti».


E fu così che la cerimonia di “benvenuto a Miguel”, si trasformò in quella dell’“addio a Miguel”, e tutta l’allegria che c’era fino a quel momento diventò malinconia, anche se non c’era stato il tempo di conoscere a fondo quello strano essere venuto da lontano.
E Miguel si preparò alla sua prima ed ultima notte nella Riserva in compagnia degli Adelasiesi…


Ma questa sarà un’altra storia… se lo vorrete…




© Magema - Antologia Anima del Bosco, Concorso Internazionale 2006. Riproduzione vietata.
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http://www.magema2000.net/concorso2006vincitori.htm


Per i disegni inseriti: crazycolors © Fotolia. Riproduzione vietata.
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Wild Animals and Big Cats http://it.fotolia.com/id/39455336

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