Siedi ed ascolta
il silenzio.
I capelli
sciolti nel vento come onde di verdi steli increspati.
Rami di leccio
struscianti nascondono il sole a tratti.
Stridio di
rapaci volteggianti in attesa di facile preda.
Guarda e vedi
ciò che ti è nascosto:
sotto volte di
centenari faggi e castagni monumentali,
tra fronde di
noccioli, ontani neri ed olmi,
la natura si
cela con schiva ritrosia.
Respira ed
assapora l'anima del bosco,
con il profumo
di luminose ginestre ardite,
inaccessibili
macchie di folti brughi,
felci cresciute
tra radici imponenti e torrenti gorgoglianti.
Pensa ed
immagina che non sei sola.
Sei osservata da
lontano e temuta per la tua estraneità.
Ti ascoltano, ti
guardano, ti odorano:
sei al centro
del loro mondo, sei sulla Rocca dell'Adelasia.
______________________________________________
Ormai ne era
sicuro. Si era perso.
Il senso
d’orientamento lo aveva tradito. Beh, niente di più facile: non era nel suo
habitat, si trovava in un mondo completamente diverso dal suo.
E ora cosa
poteva fare? Si guardò intorno, alla ricerca di qualsiasi punto di riferimento
che potesse aiutarlo. Un torrente scorreva limpido, sotto di lui, lo aveva
seguito non appena l’aveva intravisto, e l’unica cosa certa era che lo stava
risalendo.
Tutt’attorno
alberi, alberi e ancora alberi.
Fece un lungo
sospiro, rassegnato: doveva chiedere a qualcuno…
Mamma Scoiattolo
quella mattina si era svegliata con la zampa sbagliata, scivolando su una delle
ghiande nella dispensa del tronco cavo. E aveva un diavolo per pelo…
I suoi piccoli
la osservavano preoccupati: se il buon giorno si vede dal mattino, quella che
li aspettava sarebbe stata una luuuunga giornata.
«Sento che oggi
succederà qualcosa di grosso nel bosco», continuava a ripetere lei, mentre la
coda le sussultava nervosamente. Eppure, sembrava tutto normale…
Un gruppo di piccoli ciuffolotti sfrecciavano tra i faggi litigando spesso…
«Tocca a me fare
il capo stormo adesso!»
«Ma non ci pensare neppure! L’ultima volta che ci hai
provato, a momenti andavamo a sbattere!»…
Una coppia di
gazze stava fissando da un ramo la superficie scintillante del ruscello…
«Quello è oro, è oro, oro!», gracchiò una.
«Seee, come no», rimbeccava l’altra.
«L’ultima volta che l’hai detto, ti sei tuffata e sei riemersa con una pietra in
bocca»
«Non è colpa mia, il sole a volte fa brutti scherzi»…
Un tasso e un cerbiatto discutevano animatamente…«Te lo giuro, è andata così!», si lamentava
il tasso. «Stavo parlando con lui del fatto che questa primavera è più calda
dell’anno scorso e che se continua così quest’estate ci sarà siccità e poi mi
accorgo che lui dormiva! Gli ho parlato per mezz’ora e non ha sentito una
sillaba!»
«Beh, ma lo sai che il ghiro è così, no? Non te la devi prendere!»…
«La smettiamo o no! Qui c’è gente che ha
lavorato tutta notte!»
«Ma anch’io sto lavorando!», rispondeva di rimando il
volatile continuando a battere il becco contro il tronco.
«Ma con tutto il
posto che c’è, devi lavorare proprio qui?!!»…
… Insomma, ogni
abitante del bosco era nelle proprie faccende affacendato quando…
«Aaaahaaaah!»,
un urlo agghiacciante da far rizzare penne e peli si levò dall’estremità opposta.
Il tempo parve fermarsi mentre il silenzio pian piano prendeva il posto
dell’eco del grido. Tutto ad un tratto, dalla boscaglia uscì di corsa Mamma
Cinghiale con al seguito i suoi otto piccoli spaventatissimi.
«Ma che diamine
succede?», chiese il cerbiatto.
«Un… un … mo… mostro orribile!», ansimò lei
cercando di prendere fiato.
Tutti trattennero il respiro ma per un istante
soltanto. Poi la subissarono di domande. «Come un mostro?». «Dove?». «Com’è
fatto?». «Quando?». «Ma sei sicura?».
«Certo che sono
sicura di averlo visto? Proprio adesso, vicino alla rocca delle ginestre! E’… è
enorme! E rosso come il diavolo»
«Ma mamma, era blu!», la contraddisse uno dei
piccoli.
«Ma no, era verde e con le corna!», disse un altro.
«Ma che corna e
corna!», sbuffò un terzo. «Per me era solo un fagiano strano!»…
«Come, come?»,
in quel momento ne passava proprio uno che si fermò ad ascoltare. «Come sarebbe
codesto fagiano strano?»
«Più colorato di te, più grosso e con la coda più
lunga della tua!».
«Impossibile,
non può esistere un fagiano più bello di me in questo bosco!», rispose quello
piccato.
«Ma che ti ha fatto
il mostro?», chiese Mamma Scoiattolo a Mamma Cinghiale.
«Niente, per fortuna!
Mi ha solo chiesto…», si interruppe sgranando gli occhi dalla paura fissando lo
sguardo nella direzione da cui era venuta. Tutti si girarono e lo videro…
«¡Hola! Potete
dirmi che posto è questo?». Non si aspettava certo quel tipo di reazione: in un
attimo, e neanche tanto silenziosamente, tutti sparirono letteralmente, chi
prese il volo, chi si nascose negli alberi, chi scavò nella terra per
nascondersi. Insomma, restò da solo. Dopo un paio di minuti, durante i quali si
chiese se avesse usato le parole sbagliate – lui in fondo era straniero – o il
tono della voce, vide il gufo fare capolino dal nido…
«Non pensavo
potesse svegliarmi il silenzio! Bravo picchio, e non tornare più… Ehi, ma che
fine hanno fatto tutti quanti?!»
«¡Hola!».
Il
gufo restò impietrito poi si guardò intorno parandosi con un’ala gli occhi
sensibili alla luce. E lo vide. Non aveva mai visto nulla del genere, e dire
che di cose ne aveva viste molte nella sua vita! Un uccello
enorme era posato su un ramo del faggio davanti a lui: doveva essere alto mezzo
metro, se non di più, aveva il corpo e la lunga coda di colore rosso e le penne
delle ali gialle, verdi e blu. Aveva una voce gracchiante come le gazze ma più melodiosa,
e uno strano becco uncinato. Scrollò la testa un paio di volte, girandola di
360°, chiuse e riaprì gli occhi ma quello era sempre lì, bello come un arcobaleno
dopo il temporale estivo e allo stesso tempo spaventoso in quel suo “essere
diverso”.
«Ehm…», si schiarì la voce. «Salve… ehm… e tu cosa… chi saresti?».
L’altro aprì le ali e si librò posandosi davanti a lui sul suo stesso ramo. Il
gufo era rimasto lì, a becco aperto. Ma che volo magnifico, che grazia dei
movimenti! Aveva la stessa leggerezza della Farfalla Macaone, nonostante quella
stazza!
Decine di occhi
curiosi cominciarono a scorgersi fra le foglie, sulle fronde, o seminascosti
dai tronchi.
«Miguel», ripeté
fra sé il gufo, poi chiese «Ma a che etnia appartieni?»
«Etnia?»
«Sì, insomma,
di che razza sei?»
«Pappagallo delle foreste tropicali»
«Pappa…gallo… vuol
dire che mangi i galli?!! Sei carnivoro!»
«Oh, no no! Mangio bacche, semi e
frutta»
«Ehi, là sotto e
su per aria!», gridò il gufo sporgendosi dal nido. «Non abbiate paura, è inoffensivo!».
Il gufo gli fece strada ed entrambi atterrarono al centro del bosco. Tutti si
fecero avanti sollevati.
«Benvenuto nella nostra umile dimora, Miguel. Questa è l’Adelasia», disse il gufo. «E io sono Erminio».
«Benvenuto nella nostra umile dimora, Miguel. Questa è l’Adelasia», disse il gufo. «E io sono Erminio».
Il primo ad
avvicinarsi fu il fagiano. Non era autoctono, era stato liberato nel punto
sbagliato dai cacciatori, e lui, invece di incorrere in un fucile, aveva
trovato il paradiso. Un gran bel colpo di fortuna! Era ormai ben integrato e
conosciuto da tutti.
Esaminò Miguel dalla cresta alle unghie incurvate con una
strana espressione…
«Narciso è il mio nome e sono il fagiano
di tutto il
bosco io sono il sultano
eppure da oggi comincia il declino
al nuovo
arrivato porgo lo scettro e mi inchino…».
Narciso era famoso per le sue rime,
ma soprattutto per la sua vanità. Doveva essergli costata parecchio quella poesia,
e ora tutti aspettavano la risposta dallo straniero.
Miguel
ricambiava gli sguardi con evidente imbarazzo.
«Ehm… Mi chiamo Miguel e vengo
da lontano
ho attraversato l’oceano nella pancia di un aeroplano
Sono qui
perso in un posto che non è il mio
sognando di tornare al mio grande Rio.
Ambizioni non ho di diventare sultano
né di spodestare il qui presente
fagiano.
Ripartirò per il mio mondo colorato e vario
quindi che lo scettro
resti al suo proprietario», finì timidamente.
Narciso lo guardò ammirato,
mentre un “Oooh” corale faceva da colonna sonora al momento. Questo non tanto
per le parole – più che poesia una vera canzone! –, quanto per il fatto che
Miguel aveva imitato perfettamente la voce di Narciso.
«Bella questa!»,
disse Erminio gongolante. «Bene, bene, mi piace questo ragazzo!».
Poi, uno ad uno
si presentarono tutti gli altri, e tutti gli chiedevano com’era stato volare
con ali che non erano le sue. La storia era triste: era stato rapito dalla sua
terra e portato in un altro continente, costretto a vivere in una casa legato
ad un trespolo con una piccola catena.
«Bipedi
spiumati! Pensano di essere i padroni dell’universo!», sbraitò Lucilla, una
delle gazze. Poi fissò Miguel. «Non è che puoi darmi una delle tue penne?».
«Smettila!», si
indignò la sua compagna. «Guarda che non luccicano mica, Lucilla!»
«Però sono
belle!».
«Ma come sei
riuscito a scappare?», indagò il tasso Silvano.
«Era da mesi che
cercavo un modo per fuggire da quella casa. Poi ho avuto un colpo di genio: mi
sono finto morto e sono penzolato dalla catenella per almeno un’ora prima che
qualcuno se ne accorgesse. Appena mi hanno liberato la zampa, sono volato via
dalla finestra aperta!». Mentre raccontava tutto questo, un corvo si era
avvicinato in volo sbandando pericolosamente.
«Quello è
Bartolomeo. Non fare caso a quello che dice», bisbigliò Narciso.
«Perché?»,
chiese Miguel.
«Guarda e capirai».
Bartolomeo atterrò perdendo quasi subito
l’equilibrio. «Cosa mi sciono perso?», disse con voce impastata. Poi vide il
pappagallo. «Ma non è già passato il Carnevale?».
Miguel guardò Narciso che
fece alucce con aria rassegnata.
Bartolomeo tentò di strappare le penne dalla
lunga coda di Miguel… «Ahi!»… e si accorse che erano vere, guardò il grande
becco dalla strana forma e cadde all’indietro. «Devo smettere di beccare l’uva
acerba!», e detto questo riprese il volo barcollando.
«Dobbiamo
festeggiare il nuovo arrivato!», decise Erminio e tutti approvarono.
«Io adoro le
feste!», si illuminò Narciso. «Ti lascio volentieri l’onore di essere al centro
dell’attenzione».
Musetta, la
mamma scoiattolo, si era di nuovo innervosita: «Ecco, lo sapevo, bisogna preparare
la festa e si sa chi lavorerà e chi no. E’ sempre la stessa gente che sgobba
dal mattino alla sera. Musetta, porta da mangiare! Musetta, da bere! Musetta,
le decorazioni! Musetta di qua, Musetta di là…», intanto era già partita per
cercare orchidee selvatiche, campanellini e gigli di S. Giovanni, seguita dai
suoi piccoli.
«Non vorrei
darvi disturbo», disse Miguel sentendosi in colpa.
«Ma va là, non ci pensare!
Hai creato un diversivo, altrimenti sai che noia, non succede mai niente qui!»,
rispose Erminio. «Senti un po’, ma tu di solito cosa mangi?».
Il pappagallo si
guardò intorno. «Semi di piante che non credo troverei qui».
«Allora mi sa
che ti dovrai accontentare di ciliegie… Ah, dimenticavo: qui siamo in una
riserva naturale. Cacciatori non ci sono ma bipedi spiumati possono passare
armati di quegli strani aggeggi che fanno una luce accecante…», continuò
abbassando la voce con fare complice. «Dicono che chi ne viene colpito non è
più quello di prima…».
Miguel accennò
un lieve sorriso «Non credere a tutto quello che ti dicono. Quelle si chiamano
fotografie, me ne hanno fatto tante ma sono sempre lo stesso!».
Erminio era
impressionato dalla rivelazione. «Comunque sia, tu sei un ricercato, sei in
fuga. Meglio non farsi vedere troppo in giro»
«Su questo hai ragione, cercherò
di stare attento».
«E c’è altro da
cui guardarsi: i predatori. La biscia dal collare, il gheppio, lo sparviero…
Tu, come dire, non passi certo inosservato, saresti una facile preda…».
«La biscia non
mi spaventa, non bazzico per terra tanto a lungo… Con i rapaci non ho problemi,
sono più grande e comunque so difendermi».
Il gufo finse di non cogliere
l’allusione: «Bene, mi fa piacere. Un’ora prima del tramonto ci troveremo tutti
qui»
«Per la fiesta?»
«La fiesta, come la chiami tu, la faremo all’imboccatura
della Tana degli Olmi, è una grotta, non troppo distante da qua. Nel frattempo,
puoi cercare del cibo. A più tardi!», salutò tornando al suo nido. Un gufo di
giorno deve pur riposare, no?
Anche Miguel si
preparò per la sua siesta, ma… «Ahiaa!! Lucilla, la mia penna!!! Riportamela
subito, ladra!!».
In quel tardo
pomeriggio di maggio, gli sguardi degli Adelasiesi erano puntati al cielo: un
gufo sfrecciava nell’area di volo settentrionale seguito, a distanza di un
colpo d’ala, da un coloratissimo pappagallo amazzone. Miguel non aveva nessuna
intenzione di perdersi un’altra volta ed evitava di farsi distrarre dal
paesaggio, fissando la coda di Erminio davanti a sé. Un vero peccato, perché in
quel modo non poteva accorgersi dello scalpore che stava suscitando. La voce
dell’arrivo di uno straniero aveva già fatto il giro della Riserva, ma certo
nessuno avrebbe pensato di vedere il “mostro” in tutto quel suo splendore…
Quando Erminio e
Miguel arrivarono all’imbocco della Tana degli Olmi, già un buon numero di Adelasiesi
erano in trepidante attesa.
Bocche e becchi aperti dallo stupore, nel silenzio
più totale.
La prima a riprendersi e a commentare fu la salamandra Amanda con
un laconico “Esibizionista”. Miguel apparve molto divertito per l’uscita del
piccolo anfibio che faceva sfoggio di una stravagante livrea giallo-nera.
«Per favore,
bando alle ciance!», interruppe Musetta. «Se dobbiamo farla, facciamola in
fretta questa festa, non tutti abbiamo abitudini notturne qui!».
«La scoiattola
ha ragione», disse il gufo. «E la musica dov’è?»
«Eccoci!». Il
picchio verde Tommaso e il cuculo Ugo erano già in posizione sul ramo dell’olmo
più vicino alla tana e, mentre il primo cominciò a battere un ritmo martellante
sul tronco, il canto del secondo accompagnò la cerimonia di benvenuto a Miguel.
Bartolomeo aveva
già davanti a sé la sua cupola di ghianda piena di succo d’uva e gli animali
intorno a lui si chiedevano in quanto tempo l’avrebbe finita.
Miguel aveva il
suo bel da fare, tutti lo volevano conoscere, gli chiedevano del suo periodo
nella casa dei bipedi e di come fosse la sua terra natia. Il pappagallo cercava
di non darlo a vedere ma la commozione stava per prendere il sopravvento al
ricordo della sua foresta alla quale sperava di tornare il più presto possibile.
Uno dei piccoli di Musetta, Carlino, se ne accorse e gli andò vicino: «Devo
farti vedere una cosa», gli disse a bassa voce, tanto che Miguel dovette
farselo ripetere due volte, poi lo seguì zampettando all’interno della Tana, mentre
tutti erano intenti ad ammirare le evoluzioni di Dorotea, una vivacissima
Ballerina Gialla.
La grotta era molto più grande di quanto si potesse intuire
dall’esterno, si sentiva in lontananza il rumore dell’acqua che scorreva in
profondità oscure. Stalattiti e stalagmiti creavano un’atmosfera senza uguali,
le voci all’esterno erano ovattate e Miguel pensò di essere nel luogo in
cui regnava la pace assoluta.
L’ambiente era fresco, si fermarono nella parte in cui arrivava un po’ di luce
dall’ingresso, prima della zona immersa nel buio più totale.
«Guarda!», disse
lo scoiattolo. Il suo tono non era stato tanto forte, ma la sua eco vibrò ancora
per qualche istante prima che tornasse il silenzio. Per terra, davanti a loro,
c’era un oggetto nero dalla indubbia provenienza. «Roba da bipedi…», sussurrò
Carlino.
«E’ una pila», riconobbe Miguel dopo un’attenta valutazione.
«Dimenticata da qualche esploratore». Ci girò intorno poi la rovesciò col
becco. «Dovrebbe accendersi così», armeggiò non poco con l’interruttore poi un
violento fascio di luce illuminò quella zona di grotta.
Lo scoiattolo lanciò
uno strillo e tornò indietro di corsa.
«Aspetta!!!», gli gridò dietro Miguel ma
ormai non c’era più traccia dell’animale. «E che faccio qui da solo?!».
Tutt’intorno cominciò a sentire dei rumori. La luce della pila illuminava ben
poco e nell’oscurità potevano esserci forme di vita ostili.
Lentamente
indietreggiò, continuando a guardare di fronte con l’orribile sensazione di
essere osservato. Proprio in quel momento si ricordò di essere provvisto di un
bel paio di ali – a volte la paura fa strani scherzi! – ma non ebbe il tempo di
usarle…
«Ha una ragione
la tua presenza nella nostra tana?», la voce era profonda – anzi, la parola
giusta era “cavernosa”! – e Miguel arruffò la cresta dal terrore.
«No…
signore», ansimò. «Vado via… subito…»
«Non così
velocemente…», ed il tono, ve lo garantisco, non era per niente rassicurante.
Carlino era
arrivato di corsa dalla grotta gridando. La coda di Dorotea si fermò a
mezz’aria, Tommaso perse il tempo e Ugo strozzò l’ultima nota in gola. «Miguel
ha portato il sole nella grotta!»
«Cooosa?!»,
gridò Musetta. «La smetti di inventarti queste storie?!».
Erminio guardò gli
occhi impauriti del piccolo, poi si affacciò alla soglia della tana e… sì,
c’era davvero una luce verso il fondo, una luminosità che non c’era mai stata,
ma da lì a chiamarla “sole”… «Come ha fatto?», gli chiese.
«C’era una cosa da
bipede spiumato… ha detto che si chiama “pila” e… e… poi è arrivata la luce e
io sono scappato via!»
«E tu l’hai
lasciato lì da solo?!».
Miguel era
indeciso se stare ad ascoltare o fuggire ad ali spiegate. Per la precisione,
era imbalsamato dal terrore…
«Di solito non viene mai nessuno qui da noi. Si
limitano a restare all’ingresso quando fanno le feste di primavera e di fine estate…»
«Già capo»,
interruppe una seconda voce. «Ma questa festa non è in calendario. Non hanno
chiesto l’autorizzazione!»
«Già, già», fece una terza. «Devono pagare!
Pagare!».
Improvvisamente
ci fu un vociare confuso e Miguel si rese conto di essere circondato, se avesse
fatto un passo in qualunque direzione, “quelli” gli sarebbero stati subito
addosso. Se li immaginava già, grandi e spaventosi, tutti pelo e corna, e
sicuramente molto affamati…
«Non dovevi
portarlo là dentro! E’ stata una vera e propria provocazione!», sibilò Amanda.
«Lo sappiamo tutti cosa pretendono “quelli là”».
«La salamandra ha ragione»,
disse Silvano. «Dobbiamo tirarlo fuori o altrimenti…». «Secondo me se la può
cavare anche da solo», mormorò Musetta che non aveva nessuna intenzione di
andare là dentro, con il buio o senza. «In fondo, se ha portato la luce deve
essere uno in zampa!», ma questo non convinse nessuno. Tutti cominciarono a
dire la loro provocando la confusione più totale mentre incredibilmente
Bartolomeo russava beato ignaro di tutto.
Il sole era
ormai tramontato, le ombre si allungavano sempre più nel crepuscolo.
L’attenzione degli Adelasiesi era concentrata sull’operazione “SalvaMiguel”.
Miguel era
stanco di avere paura e se doveva morire, almeno voleva vedere in muso chi
fossero i suoi nemici. Si era reso conto di aver mancato di osservare uno dei
Comandamenti della Natura: “In grotta con acqua, buia e profonda, facile che
incontri un’anaconda”… Ora, difficile all’Adelasia imbattersi in un rettilaccio
del genere – come d’altronde, in una scuola inglese, incontrare nei bagni un
basilisco… dite di no? –, ma di sicuro nel mondo amazzonico di Miguel potrebbe
essere un poco più “naturale”. Comunque, cercando di non darlo a vedere, riuscì
a prendere la pila con le lunghe unghie e a ruotarla e… non credette ai suoi
occhi…
«Allora, chi ha
preso il rametto corto va dentro e salva Miguel», disse Erminio, dopo aver fornito
ad ognuno dei bastoncini di legno. Gli Adelasiesi si guardavano di sottecchi ma
nessuno sembrava di aver capito chi l’avesse tra le grinfie o nel becco…
«Io
sono ancora dell’idea che questo espediente non ha senso», borbottò Musetta.
«Ho io il bastoncino corto… mi avrete tutti sulla coscienza… io che devo
crescere i miei piccoli! Egoisti!», i suoi figli avevano le lacrime agli occhi.
«Va bene, va
bene… ho capito! Vado io», si arrese Erminio. «Ma questo non è democraticamente
corretto!»
«Non sai che in Natura non esiste democrazia? A proposito, non ci
hai neanche ancora spiegato cosa voglia dire “democrazia”», si spazientì
Silvano.
«Se torno ve lo spiegherò!», e con questa laconica risposta, si avviò
nella Tana degli Olmi.
Avevano un pelo
lungo e fluente, la schiena di color marrone, l'addome tendente al grigio
chiaro. Una strana membrana a forma di ferro di cavallo sul naso, di color
pelle chiara con delle tracce scure, le orecchie dello stesso colore e
terminavano a punta. Non ricordava di avere visto animali più strani – a parte
la salamandra – ma di sicuro ora era molto più rilassato…
«Insomma, siete
solo… pipistrelli?». Era veramente a disagio a guardare negli occhi colui che
tutti chiamavano “capo” messo a testa in giù, appeso al soffitto della grotta.
«Solo? Che altro pensavi di trovare in una grotta?!»
«Beh, mi siete
sembrati piuttosto pericolosi»
«Il pericolo deriva da quello che non conosci.
Solo la conoscenza delle cose ti aiuta a non avere paura. Conosci e sarai
libero da ogni timore»
«Bravo, capo!», approvarono in coro i suoi simili
battendo le ali all’unisono.
«Da cosa deriva tutta questa saggezza?», chiese
timidamente Miguel.
«Qui non viene nessuno perché hanno paura di noi… Qualcuno
ha messo in giro la voce che noi uccidiamo e beviamo il sangue delle nostre
vittime… Nessuno ci ha mai chiesto se tutto ciò corrispondesse al vero, ci
credono e basta. Se ci conoscessero veramente non avrebbero questo timore, e
vivremmo insieme senza troppi problemi: noi non dovremmo sempre nasconderci qui
dentro e loro verrebbero a tenerci un po’ di compagnia… Sai, soffriamo un po’
di solitudine…».
Miguel sentì di
essere nella loro stessa situazione: anche lui era stato scambiato per un
“mostro” perché “diverso” dagli altri…
Uno degli altri
animali zittì tutti: «Un altro intruso, capo. Il mio sonar non sbaglia».
Miguel ruotò il
fascio di luce e vide avvicinarsi Erminio.
«Spegni quel coso!», gli gridò il
gufo mezzo accecato.
«Scusami!»
«Stai bene, Miguel?»
«Sì, certo… vieni
tranquillo, qui ci sono solo amici…»
«Ma mangiano
solo insetti!», disse Carletto ai suoi fratelli. «Non stanno succhiando il
sangue a nessuno!»
La pila da
bipedi era appoggiata su un ramo – naturalmente Lucilla era stata ben contenta
di portarla fin lassù! – ed illuminava la notte ormai fonda.
La Compagnia dal
Naso a Ferro di Cavallo stava beatamente in mezzo agli altri animali che si
prodigavano a portar loro da mangiare e bere. Non si erano mai divertiti tanto
– anche se, durante la spiegazione del concetto “democrazia” da parte di
Erminio, parecchi Adelasiesi si erano addormentati – e per ringraziare
dell’invito al banchetto, avevano deciso di raccontare una storia dell’orrore
il cui protagonista era un marchese, anzi no, un conte che abitava in lontane
terre dell’est e che aveva strane abitudini. Davvero da brivido, tanto che
Musetta aveva deciso di mandare nel tronco i suoi piccoli per evitar loro incubi
notturni!
Anche Miguel si sentiva rizzare le penne ma non erano brividi da
paura e tutti ne ebbero la prova…
«Eccciiiùùù!».
Un silenzio di tomba cadde nella radura.
«Che è stato?»,
chiese Bartolomeo svegliatosi di soprassalto.
Gli Adelasiesi
guardarono il pappagallo con una strana espressione.
«Ma ha mica…»,
cominciò Lucilla immediatamente zittita da Erminio.
«Non dirlo neanche per
scherzo!»
«Ecccciiiiùùùùù!»,
e lo starnuto lo fece quasi cadere dal ramo. «Credo di essermi preso un raffreddore!»,
disse con voce rauca.
Tutti tirarono
un sospiro di sollievo, ma durò solo un istante. «Penso proprio che questo non
sia il posto adatto a lui», disse il gufo. «Non è abituato a questo clima»
«E se adesso che
è quasi estate si ammala, come farà quando arriverà l’autunno? E l’inverno
neanche a parlarne…»
«Eccciiiùù!...
Scusate… non c’è quest’aria fresca dalle mie parti…»
«E io che dicevo
che cominciava a fare troppo caldo…», si stupì il tasso Silvano.
«Possiamo
indicargli la via del mare…», disse Musetta.
«Sì ma anche lì
d’inverno non fa certo caldo! Nevica anche sulle spiagge, me l’ha detto un
gabbiano della diga dei bipedi…», interruppe Erminio.
«Ecciùùùù… ma il
mare è così vicino?», indagò Miguel. «Ci sono porti con navi del mio paese?»
«Hai ragione!»,
si illuminò Erminio. «Il porto è davvero il posto giusto per farti tornare a
casa!»
«Sì, ma come
arrivarci? Tu sai la strada?», chiese Carlino al gufo.
«So la
direzione, non deve essere tanto difficile arrivarci», rispose Erminio. «Ma non
posso certo accompagnarlo. Lo sapete, io vivo di notte e di giorno dormo, per
lui sarebbe impossibile volare di notte…»
«Quindi dobbiamo
trovare un’altra soluzione», mormorò Musetta.
«Eccciùùù…
Erminio, hai parlato di gabbiani prima…», azzardò il pappagallo con una roca
voce irriconoscibile.
«Già, vivono in
una piccola colonia lungo il fiume, su una diga artificiale vicino ad una zona
industriale… Ti assicuro che mi si rizzano le penne al pensiero di andarci, ma
solo loro ti possono aiutare…»
«Lo accompagno
io volentieri!», esclamò Lucilla la gazza.
«Sei sicura che
non ti perderai?», fece Erminio divertito.
«No, tranquillo,
ci sono già stata»
«Ah, sì,
ricordo… volevi cercare il fiume dove trovano l’oro ma ti sei ritrovata da
tutt’altra parte…», disse l’altra gazza che ricevette da Lucilla una bella
zampata…
«Eccciùùùù…
grazie Lucilla, sei gentile ad accompagnarmi»
«Partirete
all’alba», asserì il saggio gufo. «E dovrete stare attenti a non essere visti
dai bipedi… Volate a bassa quota, e in mezzo ai boschi, darete meno
nell’occhio… In cielo aperto Miguel sarebbe facilmente distinguibile… Mi
raccomando, state attenti».
E fu così che la
cerimonia di “benvenuto a Miguel”, si trasformò in quella dell’“addio a
Miguel”, e tutta l’allegria che c’era fino a quel momento diventò malinconia,
anche se non c’era stato il tempo di conoscere a fondo quello strano essere
venuto da lontano.
E Miguel si
preparò alla sua prima ed ultima notte nella Riserva in compagnia degli Adelasiesi…
Ma questa sarà
un’altra storia… se lo vorrete…
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